“Dolore e forza di un immigrato”

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28 Maggio 2021

“Dolore e forza di un immigrato”

Sono quasi le nove di sera e sto rientrando a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Lo zaino in spalla, in mano una pizza e un libro che mi è stato donato: “Dal buio della vita”, di Alessandro Cirina. Il volume che ho fra le mani faceva parte della biblioteca del grande poeta e giornalista siciliano Federico Hoefer, scomparso circa due anni fa.

La curiosità mi spinge a sfogliare le pagine, e approfittando della luce calda dei lampioni, leggo:

Partendo[1]

lascio la mia casa,

i prati verdi

e, incredulo,

lancio l’ultimo sguardo

all’ultimo orizzonte dei miei lidi

[…]

Sento poi dentro di me

una rabbia da gridare,

da piangere,

da tornare indietro.

Poi lo spettro della fame

affila i suoi denti aguzzi

nelle mie carni.

Vedo le scarpe rotte,

i vestiti sdruciti,

il tetto rovinoso della casa,

la povertà incalzante

e l’indigenza in atto.

Sento il pianto del povero,

il pianto accorato dei miei figli,

le note tristi del dolore,

di gente piena di mille pensieri

che vive impavida

nel frastuono della vita moderna.

Leggendo queste strofe mi torna in mente lo scafista che ho incontrato in carcere. Non è giovanissimo, e nel suo paese ha lasciato moglie e figli piccoli. Il primogenito e il figlio cadetto, rispettivamente di 13 e 7 anni, lavorano per sfamare la famiglia: questo è il dolore più grande per un padre. “Dovrebbero andare a scuola e non a lavorare”.

Il nostro scafista ci racconta che è stato costretto a guidare la barca. Quelli che l’avevano rapito erano dei militari governativi e sapevano che faceva il pescatore, loro conoscevano tutti quelli che lavoravano vicino al porto dove regolarmente andavano a scegliersi un nuovo capitano per una nuova traversata del Mediterraneo.

Con un’arma puntata alla tempia non ci si può ribellare, per sopravvivere si fa anche lo scafista per necessità.

Lui resiste ancora e continua a mantenere una buona condotta anche se la sua condanna per scafismo non gli permette di avere una pena alternativa, deve solo aspettare, uscirà presto.

Sento poi venire in me

l’amore per la vita

a ritemprar per risorgere,

in erculee imprese,

la gioia di vivere.

Una testimonianza di Najla Hassen, mediatrice culturale nei progetti in Sicilia di Medu

[1] Alessandro Cirina, DAL BUIO DELLA VITA romanzo in stanze, 1987, Verona, Edithor Kalaris, p.p 68-69

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