G., 18 anni, Eritrea

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23 Novembre 2017

Sono stato in Libia per 10 mesi. Tutto il tempo l’ho trascorso in detenzione dentro un capannone vicino a Tripoli gestito da un trafficante, un uomo veramente crudele. Quest’uomo è eritreo ma si fa chiamare Walid e collabora con i libici. Sono rinchiusi lì dentro soprattutto somali ed eritrei. Io credo che le persone finiscono in questo carcere a causa delle lotte che si fanno i trafficanti tra di loro. Può accadere che alcune persone siano sul punto di partire, poi arrivano i libici, li bloccano e li portano alla prigione di Walid. E il riscatto per uscire da questa prigione è altissimo. Walid chiede “cinquecinquanta”, che dalle nostre parti è un modo per dire 5.500 dollari. E tutte queste persone avevano già pagato tantissimi soldi per essere arrivate ad un passo dal mare. Il trattamento che viene riservato agli eritrei e ai somali non è lo stesso. Gli eritrei in generale vengono trattati un po’ meglio, i somali invece vengono massacrati. Il cibo e l’acqua non ci sono per nessuno. Però ai somali fanno subire più violenze e crudeltà. Queste cose vengono fatte da Walid e dai suoi uomini che sono moltissimi. Si divertono a vederci soffrire. Di solito vengono la mattina e passano tutta la mattinata a giocare con noi. Ci costringono a farci del male l’uno all’altro. Per esempio se si accorgono che due persone sono moglie e marito chiedono ad uno di picchiare l’altra nel modo più forte possibile. Oppure se una persona sta molto male le guardie vanno lì e dicono “Tu non sei né vivo né morto, ti devi decidere”. E allora lo picchiano violentemente. Così la persone deve scegliere se riuscire ad alzarsi e continuare a vivere o lasciarsi andare e morire.
Testimonianza raccolta presso l’Hotspot di Pozzallo, 23 novembre 2017

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