A.O. 37 anni, Eritrea

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6 Settembre 2018

“Nel 2014 mio marito è andato in Libia, da allora non ho più sue notizie. In Eritrea la vita per me era diventata impossibile, le persone che professano la mia religione sono perseguitate. Sono cristiana pentecostale. Non potevo entrare in chiesa, non potevo pregare in nessun luogo, altrimenti mi arrestavano. Nel 2015 ho cercato di fuggire da Asmara insieme ai miei 4 figli (12,9,7,4 anni) siamo stati arrestati e portati in una prigione al confine col Sudan, dove siamo rimasti per 2 mesi, ci davano pochissimo cibo e mi hanno picchiata spesso, fino a quando dei miei amici hanno pagato e siamo tornati a casa. Nel 2016 sono fuggita con la mia figlia più piccola, lasciando gli altri bambini a mia madre malata e anziana. Penso ai miei figli ogni giorno e piango. La Libia è stata la parte più terribile del nostro viaggio: per 13 mesi io e mia figlia siamo state vendute e detenute in 4 luoghi diversi, pagavo per essere liberata ed invece i trafficanti ci vendevano ad altri trafficanti e finivamo di nuovo in prigione. Non riesco a raccontare quello che abbiamo vissuto. Ho visto molte persone morire davanti ai miei occhi, ogni giorno ho l’impressione di rivederle. Mi ricordo della prigione di Bani Walid dove siamo state per due mesi, il cibo era pochissimo e mi picchiavano sempre, un giorno un trafficante mi ha afferrata e ha iniziato a picchiarmi davanti a mia figlia, lo sogno tutte le notti. Mia figlia ricorda tutto, melo ripete quasi ogni giorno e io non so come farò ad aiutarla. Prego ogni giorno. Qui posso pregare, per me è importante. ”
Testimonianza raccolta in hotspot a Pozzallo durante il mese di luglio 2018

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